SABATO 27 OTTOBRE
ore 21.00, Masque Teatro (via Orto del Fuoco, 3)
Uno strano e amaro raccolto
(ingresso libero)
con
Paola Sabbatani (voce)
Lelia Serra (lettura)
Roberto Bartoli (contrabbasso)
Daniele Santimone (chitarra)
Il concerto si apre con una breve lettura di una corrispondenza da Ancona, distretto tessile con forte presenza ebraica, pubblicata nel 1938 sulla rivista “La difesa della razza”, in cui si incitava alla maldicenza contro gli ebrei, prevede canzoni, eseguite tutte in arrangiamenti originali, che raccontano le storie di chi ha subìto, nel corso del Novecento, le conseguenze del razzismo: dagli ebrei e gli zingari in Europa agli afroamericani negli Stati Uniti.
I brani sono di vari autori, tra cui Bob Dylan, Gaber, Jannacci, Testa e altri. Molti sono state scritti negli 60 e 70 e mantengono ancora oggi, intatta, la loro carica di denuncia.
Per citarne solo alcune, una ballata del 1964: “The lonesome death of Hattie Carrol”. Bob Dylan la scrisse dopo aver letto sul giornale un episodio di cronaca avvenuto il 9 febbraio 1963 a Baltimora, nel Maryland: alcuni dipendenti di un albergo, tutti afroamericani, erano stati aggrediti da un giovane bianco in preda all’alcool. La barista Hattie Carroll di 51 anni, madre di 10 figli, morì pochi giorni dopo in seguito alle gravissime ferite riportate. L’aggressore, tale William Devereux “Billy” Zantzinger, membro di una ricca e potente famiglia bianca di proprietari terrieri, in un primo momento incriminato per
omicidio volontario, fu poi condannato alla ridicola pena di 6 mesi di carcere. Tanto valeva la vita di una persona di colore. Ma la canzone di Bob Dylan lo condannò per sempre.
E ancora “Gli zingari”, di Enzo Jannacci. Scritta nel 1968 e presentata lo stesso anno a Canzonissima, trasmissione di punta della Rai, è un capolavoro di poesia, se si vuole ancora più rivoluzionario di “Ho visto un re”: nelle parole, nelle immagini, negli intenti, nel suo struggente sostegno alle diversità. Il testo ci racconta di un gruppo di zingari che si ritrova improvvisamente davanti all’immensità del mare. Ma la grande forza di “Gli zingari” sta non solo nell’impatto di “quella gente ridotta, sfinita, svilita” con il mare, ma nel fatto che il mare interagisca con loro, “proprio loro, gli zingari”, quasi fosse l’unico a
capire.
La canzone, manco a dirlo, non vinse. Forse in finale arrivò ultima, ma quel “qualcuno a star male” del finale, è ancora lì, sospeso.
Via Orto del Fuoco 3, a Forlì
In collaborazione con Masque Teatro