900fest – prima edizione 28 ottobre – 1° novembre 2014

(here for the english version)

Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Forlì-Cesena, Fondazione Alfred Lewin, Anpi Forlì-Cesena, Associazione Mazziniana Italiana Sezione “G. Bruno” di Forlì, Cgil, Cisl, Uil, Arci, Endas Forlì, Unione degli Universitari Forlì,

in collaborazione e col patrocinio di
Regione Emilia-Romagna, Comune di Forlì, Comune di Predappio, Provincia di Forlì-Cesena, Atrium – Rotta culturale europea sulle architetture dei regimi totalitari, Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia

p r o m u o v o n o

la prima edizione di 900fest, festival europeo di storia del 900, che ha come sottotitolo “guerre, totalitarismi, democrazia”. Sono cinque giorni di incontri, convegni, presentazione di libri e proiezione di film che si svolgeranno a Forlì e a Predappio. Lo scopo è quello di far diventare le due città un luogo di incontro e riflessione, anche internazionale, sul fascismo e sui totalitarismi che hanno devastato il 900 europeo.

Il bookshop è organizzato dall’Associazione culturale “ Il parco dei ragazzi”.


Mappa del sito


-Contatti

-Il progetto

Materiali

-Il calendario delle iniziative

-I convegni

-Le conferenze

-I film

-Le iniziative istituzionali

-Le visite guidate

Il bookshop

Altro da vedere a Forlì

Predappio e la sua liberazione

bloccoLOGHI

Il bookshop del Festival [2014]

L’Associazione Culturale Il Parco dei Ragazzi ha curato il bookshop del festival proponendo una ampia e approfondita scelta libraria:

le origini dei sistemi totalitari e i loro sviluppi; la riforma protestante; il Risorgimento italiano; la Grande Guerra; il fascismo; il nazismo; il comunismo; l’universo concentrazionario del 900.

Editori presenti:
Aliberti, Arkadia, Becco Giallo, Bompiani, Bruno Mondadori, Castelvecchi, Donzelli, Einaudi, Feltrinelli, Gingko, Il Mulino, Il Ponte Vecchio, Imprimatur, La Terza, Editrice Goriziana, Marsilio, Mattioli, Minimum Fax, Mondadori, Mursia, Newton Compton, Odoya, Rizzoli, Salani, Sellerio, Tea (e altri)

What is 900fest? [2014]

European Festival of 20th century history

Forlì, 28th October – 1st November 2014

What is 900fest?

Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea of the Forlì-Cesena area, Fondazione Alfred Lewin, Anpi Forlì-Cesena, Associazione Mazziniana Italiana Sezione “G.Bruno” in Forlì, Cgil, Cisl, Uil, Arci, Endas Forlì, Unione degli Universitari Forlì,

in cooperation with and under the patronage of

Regione Emilia-Romagna, Comune di Forlì, Comune di Predappio, Provincia di Forlì-Cesena, Atrium – Architecture of Totalitarian Regimes in Urban Managements, National Institute for the History of the Liberation Movement in Italy

promote

the first edition of 900fest, European festival of 20th century history, subtitled “wars, totalitarianism, democracy”. Five days of meetings, conferences, book presentations and screening of films that will take place in Forlì and Predappio. The goal is to make these two places an international centre of meeting and reflection on Fascism and the totalitarian regimes that ravaged Europe in the 20th century.

The bookshop is organised by the cultural association “Il parco dei ragazzi”.

The festival

The project, around which a group of bodies representing civil society in the Forlì area has gathered (AMI, ANPI, ARCI, ENDAS, Alfred Lewin Foundation, Resistance and Contemporary History Institute, CGIL, UIL, UDU), originated from the common reflection about the need of constant historical in-depth analysis and memory preservation of what happened in Europe in the last century. Its goal is to make Forlì and Predappio a national and international reference point for reflection, meeting and study on dictatorships, totalitarian regimes and democracy.

This prospect represents not only a proper way to “historically elaborate” the fact that the founder of Fascism was born in the Forlì area but also to uphold the loyalty to that strong vocation to politics that Romagna has shown to the whole Europe from the period of Risorgimento and the burst of the “social question” onwards.

To this end, during a series of meetings began the development of a joint proposal for the creation of an internationally renowned historical and cultural date, which should take place every year in cooperation with institutions.

Programme

28th October

16.30 Entrance Hall of Salone Comunale of Forlì (view map)
Opening of the exhibit “Forlì 1944, a ‘common’ massacre”

17.30 Refettorio Musei San Domenico (view map)
Conference by Roberto Venuti
Apocalypse and War”

20.30 Teatro Comunale of Predappio (view map)
70
th anniversary celebration of the liberation of the Forlì area

 29th October

9.30 Palazzo Romagnoli Forlì (view map)
Workshop with the students “Narration of a ‘common’ massacre”
with Toni Rovatti

17.30 Refettorio Musei San Domenico (view map)
Presentation of the book “The myth of the Great War” (in collaboration with Il Mulino)
with the author Mario Isnenghi
Introduced by Ugo Berti

20.30 Teatro Apollo Forlì (view map)
Film screening “Pays Barbare” (Fra 2013)
with the authors Y. Gianikian and A. Ricci Lucchi
Introduced by Rocco Ronchi

 30th October

9.30 Palazzo Romagnoli (view map)
Conference “The Great War and the origins of totalitarian regimes in Europe”
Speakers:
Marie-Anne Matard Bonucci
Elena Dundovich
Lutz Klinkhammer
Gian Enrico Rusconi

15.00 Forlì city centre (view map)
guided tour of the rationalist city

17.30 Refettorio Musei San Domenico (view map)
Presentation of the book “1914, attack to the West” (in collaboration with Il Mulino)
with the author Gian Enrico Rusconi
Introduced by Ugo Berti

20.30 Teatro Apollo (view map)
Film screening “The Old Guard” (Italia 1934)
by A. Blasetti

1st November

9.30 Sala Europa of Predappio (view map)
Conference: “the new man, the totalitarianism, the State”
Speakers:
Francesco Cassata
Giovanni Gozzini
Marcello Flores

15.00 Predappio city centre (view map)
guided tour of “Museo Urbano”

17.30 Refettorio Musei San Domenico (view map)
Conference by Irina Alter
The war of Germany in the German postwar cinema”

20.30 Teatro Apollo (view map)
Film screening “Triumph over violence” (Russia 1965)
by M.Romm. With M.Turovskaya, coauthor

Il diario di Suor Pierina

Dal diario di Suor Pierina Silvetti, Suor Valeriana Collini e Suor Elvira Ghirardi redatto per ordine della Superiora Generale Suor Margherita Ricci Curbastro.

L’ANNO PIÙ LUNGO

Lunedì di Pasqua 1955.

Venticinque anni orsono e precisamente il 16 giugno 1941, nasceva la nostra piccola Comunità tra le mura di questo Carcere Giudiziario, per la sorveglianza e l’assistenza delle detenute ed era così composta: Suor Valeriana Collini – Suor Pierina Silvetti e Suor Cornelia Bianchi, la quale però lasciò presto l’impresa e fu sostituita da Suor Elvira Ghirardi. Già da oltre un anno Suor Valeriana era stata adibita a questa bella missione, coadiuvata da una guardiana secolare, la Sig.ra Sartoni Mercatali Rosa e risiedendo presso le nostre consorelle a Ravaldino…

Dal 1941 al ’43 avemmo donne per reati comuni, brave e volenterose lavoratrici, tutte molto affezionate. Fino dagli inizi del nostro apostolato prendemmo per regola di non interrogare mai alcuna circa i propri reati, ma di accettare le loro aperture, senza sollecitarle e senza scandalizzarci mai, cercando sempre di comprendere, di compatire, investendoci delle loro situazioni per porre pace nelle loro anime, invitandole alla riflessione, al ragionamento, all’accettazione della pena, come purificazione, innalzamento, riconquista di tutto ciò che sembrava perduto. Lavoro paziente che non abbiamo mai abbandonato, che non ci siamo mai stancate di praticare. Ogni anima va studiata a sé perché diversa anche se i reati sono gli stessi. Nature diversissime, alcune menzognere, simulatrici, altre semplici e schiette. Tare ereditarie sono talvolta le radici latenti di orrendi delitti. Creature nate e cresciute in covi volgari, ove le più sconcertanti sozzure furono il loro pane quotidiano e la mancanza assoluta del vero amore la causa principale di tante deviazioni…

Con la discesa delle truppe tedesche in Italia, l’8 settembre 1943, cominciò per noi un vero calvario. Agli albori della primavera 1944 avemmo l’incarcerazione di tantissimi innocenti, tra cui molti sacerdoti, tutti rei di soli atti di carità.

Una mattina, sul fare del giorno, ci fu consegnata una giovane donna, Rossana Benda Molina, con la figlioletta Rita di quattro anni ed il figlio Giorgio di sette, perché il loro rispettivo marito e padre, sospetto di collaborazione partigiana, non era stato trovato. Infatti egli, dottore farmacista, era fuori per ragioni professionali. I tedeschi non capirono o non vollero capire, rastrellarono tutta la famiglia, confiscarono ogni suo bene e distrutto ciò che loro non serviva, la tradussero in prigione, lasciando sola, sul lastrico, l’anziana madre della signora. Il triste fatto giunse alle orecchie del dottore che in un batter d’occhio si presentò al comando affinché fossero rilasciati i suoi cari, ma ci volle del tempo ed egli fu imprigionato con proibizione di vedere moglie e figli. A quel tempo, per continue incursioni aeree, i detenuti non venivano rinchiusi nelle celle, ma restavano fuori per facilitare la loro discesa ai rifugi. Approfittando di ciò ed avendo il finestrone del corridoio dinanzi a quello maschile, tenevamo la piccola Rita appoggiata all’inferriata così da stabilire una comunicazione col padre, pronte a ritirarla all’arrivo dei tedeschi o di chi ci potesse tradire. Qualche giorno dopo, purtroppo, il dottore veniva fucilato con altri nove innocenti e la sposa ed i bambini rimessi in libertà.

La signora Rossana e la piccola Rita perirono poi sotto un bombardamento a Torre Pedrera. Giorgio rimase invece con la nonna, che tra stenti e sofferenze lo crebbe e l’istruì senza l’aiuto di alcuno, poiché il Comitato di liberazione, a cui ci eravamo rivolte, non volle riconoscere il Molina come partigiano, non avendo egli partecipato al movimento, né quello degli orfani di guerra, perché il dottore non aveva combattuto. Adesso vivono a Bologna, Giorgio è sposato ed ha una buona posizione e la nonna è sempre in relazione con noi. Fu un susseguirsi di queste vicende sconvolgenti. Una mattina ci vedemmo arrivare la Marchesa Pellegrina Paolucci De’ Calboli arrestata col figlio Cosimo quindicenne ed il marito, sotto pretesto di collaborazione rivoluzionaria. Dopo crudeli interrogatori e dure percosse (dovevamo chiuderci le orecchie per non sentire i colpi e le grida) il Marchese Raniero fu fucilato a Castrocaro. Prima dell’esecuzione chiese tempo per prepararsi alla morte, gli fu concesso. Egli s’inginocchiò e si raccolse in preghiera, poi alzatosi disse al comandante: Sono pronto!

Rimase la Marchesa che dovette subire altri inumani interrogatori, perché doveva parlare, ma lei non poteva dir nulla, non aveva mai avuto contatto con i partigiani. Non fu creduta e dopo averle comunicata la morte del marito, che noi le avevamo taciuta, le intimarono di decidersi a parlare, ma ella non poteva che tacere. Impossibile ridire l’angoscia e la prostrazione della povera donna, noi non sapevamo più cosa dirle per rincuorarla. La mattina del 12 agosto il figlio Cosimo fu prelevato con altri per essere deportato in Germania e a noi ci fu comandato di preparare la Marchesa per il pomeriggio perché doveva raggiungere il figlio al Comando. Noi ci credemmo e ci demmo da fare affinché la Signora potesse portarsi dietro indumenti e danaro. Riuscimmo ad avvertire segretamente i domestici che in breve tempo ci portarono roba e due carte da 10.000 lire che occultammo, aprendo una finta tasca nell’abito della Marchesa e ricucendola. All’ora stabilita l’accompagnai nell’ufficio matricola ed all’arrivo dei tedeschi la lasciai per portarmi alla porta centrale e vederla partire. Là era giunta una sua cameriera con una valigia di biancheria ed attendeva per consegnargliela e salutarla. Fuori, in giardino, notai le camionette con i tedeschi armati di mitra, «il plotone d’esecuzione». Rimasi di ghiaccio e non potei pronunciare parola, restai inchiodata tra i due cancelli col cuore impazzito e il sangue gelato. Poi il campanello squillò e fu aperto, vennero avanti ad uno ad uno tutti gli ebrei: le mani legate dietro il dorso, ultima lei bianca, con le mani pure legale, quando mi fu vicina mi guardò lungamente, ed io capii… poi rivolta alla cameriera le disse con voce ferma: Porta via quella valigia, non mi serve più. La vidi salire sulla macchina della morte, avevo la gola serrata in una morsa crudele. Avrei voluto gridare, fare qualcosa, ma quale cosa? Appena fui capace di un po’ di forza rientrai in sezione, non feci parola ad alcuno, mi preparai in fretta e mi precipitai verso la Cattedrale ove avevo convegno con chi ci dava una mano. Sulla porta trovai il Maresciallo della Questura che mi disse: Proprio adesso è stata fucilata la Marchesa Paolucci insieme ad altri uomini. Mi usci un grido di protesta: Non è vero! — Vedrà domani — mi rispose. Purtroppo avevo tutto capito e sapevo che era vero, solo non volevo che fosse così. I tedeschi quando prelevavano i detenuti dipendenti dal loro comando, sul registro di scarico lasciavano scritte frasi laconiche, mai la pura verità.

Al mio ritorno le suore erano in cappella e dissi loro: Preghiamo, hanno ucciso la Marchesa! Il singhiozzo di Suor Valeriana mi aprì il cuore. Finalmente potevo piangere anch’io con loro e fu la nostra preghiera.

Ci restavano ancora sette ebree, mogli o parenti degli uccisi, a loro non dicemmo la verità sui loro cari, ma che erano stati fatti partire per la Germania, ove fra breve li avrebbero raggiunti. Credevamo davvero che le donne sarebbero state risparmiate, perché un ufficiale delle SS ci aveva assicurato che le avrebbero rimpatriate. Le preparammo quindi a partire dando loro cibo ed una quantità di mele. La mattina del 17 settembre avemmo l’ordine di preparare le donne per la partenza, erano cariche di roba, le volli accompagnare, ma quando fui in giardino mi ferì la già nota allucinante visione: camionette, mitra! Mi feci forza, vidi le vittime salire sulle auto, senza poter far nulla. A queste legarono le mani, ma lasciarono che si portassero dietro i loro fagotti; una nel salire inciampò ed un pacchetto si ruppe lasciando correre via tutte le mele, io mi precipitai a raccoglierle, i tedeschi mi lasciarono fare, anzi lasciarono pure che le riconsegnassi. Questa clemenza mi dette speranza e seguii il corteo più sollevata, ma quando vidi le macchine piegare sulla sinistra, invece che andare dritte per la via del Comando, la speranza si frantumò e mi sommerse un’onda di desolazione. Poche ore più tardi sapemmo la terribile realtà; erano state fucilate come gli altri, alle «Casermette», nelle buche prodotte dalle bombe. Scaricai la mia indignazione su di un ufficiale delle SS, il più umano di tutti perché cattolico e dal quale avevo avuto tanti consensi, anche con suo grave rischio e pericolo. Egli parlava l’italiano come noi, cosi gli potei dire tutto quello che avevo nel cuore; lo vidi impallidire e mi rispose: Noi facciamo la guerra.

Per ordine delle SS noi non dovevamo aiutare in alcun modo i detenuti politici; il vitto era allora insufficiente ed immangiabile. Un mattino ci furono accompagnati il Vescovo di Fossombrone, il suo segretario, il Podestà ed un altro giovane sacerdote, parroco di S. Sepolcro, questo ultimo era stato torturato, non aveva più veste, la camicia stracciata ed insanguinata lasciava vedere la schiena fustigata, aveva il volto contuso ed era scarmigliato. All’insaputa dei tedeschi, i nostri agenti ci affidarono i quattro infelici perché li custodissimo e dessimo loro da mangiare, noi che non avevamo niente!!!

Appena la notizia dell’arresto del Vescovo si diffuse in città, molti si offrirono di aiutarci portandoci generi vittuari, così avemmo prima il recapito a S. Filippo, ma fummo scoperte; poi a Ravaldino, ma poco dopo il Parroco, impressionato da certe voci che circolavano (già si diceva che ci avrebbero portato a Castrocaro per essere fucilate), ci disse non essere più il caso di continuare. Allora il Sacrista della Cattedrale, ora Can.co Don Ettore Sossi, si offerse di raccogliere e di portare direttamente a noi, ciò che fece per vario tempo, poi demmo nell’occhio anche così, ed allora per non esporre la vita del sacerdote, riprendemmo noi la spola stavolta dalla cattedrale al carcere, pedinate dai soliti angioletti… e così continuammo fino in fondo con tanta tremarella. Avemmo al nostro fianco, incurante di ogni pericolo, il nostro amatissimo Vescovo Mons. Giuseppe Rolla, a cui portavo i dispacci che gli infelici incollavano sul fondo esterno dei piatti e usati per mandar loro le furtive pietanze. Avevamo nelle due sezioni, quella maschile più la nostra, delle spie messe dai tedeschi che studiavano i movimenti di tutti per poi riferire. Occorreva molta prudenza e molto studio. I momenti più sicuri per andare in Vescovado erano quelli degli allarmi aerei, allora la città si faceva deserta, i tedeschi scappavano, i detenuti scendevano ai rifugi ed io ero finalmente libera di correre al Padre che mi accoglieva sempre con le braccia aperte. Egli era davvero il buon pastore che non lasciava niente d’intentato pur di salvare tanti disperati; si pensi che riuscì ad ubriacare col cognac il comandante delle SS, che invitava a casa sua, per farsi accordare liberazioni, assoluzioni ed infine per fargli firmare il permesso di tenere prigioniero, nel suo palazzo, il Vescovo di Fossombrone. Solo il buon Dio conosce tutta l’opera svolta da Mons. Rolla, solo Lui sa quello che fece per strappare alla morte le sue pecorelle! Ma per il povero parroco di S. Stefano, Don Francesco Babini, non ci fu niente da fare! Sembrava imminente la sua scarcerazione, il nostro Vescovo ce l’aveva assicurato, ma invece un pomeriggio lo vedemmo uscire con altri nove, aveva un nostro asciugamano intorno al collo ed era tra due militi. Ci fu assicurato che andava per essere ancora interrogato. Preparammo come sempre, la cena, e la facemmo giungere col consueto sistema clandestino al Vescovo di Fossombrone ed ai suoi compagni che ci fecero assicurare aver messo da parte la cena di Don Francesco ben coperta, non celandoci la loro pena vedendo che tanto ritardava. Ci agitammo anche noi e ripetutamente andavamo all’ufficio matricola per sapere se fossero rientrati, ma sempre in risposta il medesimo no. Alla mezzanotte una telefonata ci consigliava di andare a riposare, perché non sarebbero più ritornati, erano stati tutti fucilati, per rappresaglia, essendo stato trovato un tedesco ucciso. Chiedemmo molte volte ove fossero stati sacrificati, ma dovevano passare quasi tre giorni prima di venirne a conoscenza. Fu uno dei nostri agenti, che trovandosi a passare casualmente da Carpinello, scoprì i dieci corpi massacrati, lasciati sul ciglio della via preda delle mosche a monito dei passanti. Se volete vederli sono là — ci disse — ma era già tardi per intraprendere il cammino e decidemmo per la mattina seguente. Ci alzammo prestissimo, Suor Elvira ed io e partimmo a piedi alla volta di Carpinello, onde mettere indosso, alle povere vittime, un segno di riconoscimento. In prossimità del ponte del Ronco ci raggiunse lugubre l’urlo delle sirene, che dalla città davano il segnale d’allarme; ci mettemmo a correre per allontanarci il più possibile da quel ponte, obbiettivo dei bombardamenti americani. Facemmo un buon tratto mentre il ruggito dei bombardieri si avvicinava, incontrammo per caso il nostro giudice di sorveglianza che fu non poco meravigliato di trovarci colà. Gli dicemmo in fretta la ragione del nostro viaggio ed egli ci aiutò a discendere, con lui, in una fossa di salvataggio, mentre la formazione passava fragorosa sopra le nostre teste. Per fortuna non sganciarono. Passato il pericolo, al segnale del cessato allarme, riemergemmo sulla via aiutate dal buon giudice che, pure lodando il nostro gesto, sottolineò il rischio a cui andavamo incontro. Se vengono a sapere le vostre intenzioni quei tristi vi spacceranno, perché guai a chi si occupa dei giustiziati, sarà ritenuto loro complice!

Ci accompagnò, tornando poi indietro, fino al principio del paese, lì fermò un milite al quale disse che noi eravamo le Suore delle carceri e che desideravamo sapere ove fossero i fucilati per poi riferire alle famiglie dei medesimi. II milite fu assai cortese, ci consigliò di recarci al cimitero perché le salme erano state tolte dalla strada. Ci dirigemmo colà ed il giudice ci lasciò, per non esporsi altrimenti; noi ci presentammo al milite di guardia e gli ripetemmo quanto detto all’altro. Con una grinta molto dura e squadrandoci dall’alto al basso ci disse che erano stati portati tutti in città a disposizione delle famiglie. Stanche e deluse, dopo tanto cammino, stavamo per tornare sui nostri passi, allorché fummo viste dalla Sig.ra Savoia che ci accolse in casa sua, ci rifocillò, ed appena riposate un poco ci lasciò partire senza mettersi in vista. Nella piazza del paese c’era un camion della polizia, con sopra il Parroco che andavano a Forlì, chiedemmo loro un passaggio, ma saputa la ragione della nostra presenza a Carpinello, non ci vollero prendere su perché ebbero paura. Facendo buon viso a cattiva sorte riprendemmo il nostro lungo cammino, questa volta senza altri incidenti. Sapemmo poi, a nostro conforto, che ogni salma era stata consegnata ai propri cari. Don Francesco riposa, adesso, nel suo cimitero e con la stia buona Mamma continuiamo ancora la corrispondenza.

Fu poi la volta di Tonino Spazzoli, capo del movimento di liberazione di cui si dice che siasi mangiato, prima dell’arresto, un documento importante, contenente i nomi di gran parte degli appartenenti. Furono pure incarcerate con lui la sorella e la nipote che più tardi vennero deportate in Germania. Il povero Tonino doveva stare chiuso in cella, ammanettato, senza sedersi né sdraiarsi, senza bere e senza mangiare fino a che non si fosse deciso a rivelare tutto e tutti. Era sorvegliato da due militi, alla sua cella era vietato avvicinarsi persino ai nostri agenti, solo un detenuto venne adibito alle pulizie, con incarico di ritirare il «vaso». I «vasi» erano molti alti, molto capaci, ed il detenuto due volte al giorno ritirava quello di Tonino per pulirlo e poi riportarlo. Quel vaso divenne l’unico mezzo per passare il nutrimento all’infelice ed il detenuto il ponte di collegamento fra noi e lui. Due volte al giorno preparavamo dei cordiali: due uova sbattute in brodo ristretto che la famiglia ci procurava col solito sistema. Mettevamo il cordiale in una bottiglia che facevamo sparire dentro la camicia del detenuto addetto, il quale bussava alla nostra porta, con la scusa di portare roba occorrente. Prendeva poi il vaso per pulirlo e quindi introduceva la bottiglia riportando tutto in cella. Spazzoli appena richiuso, aiutandosi con le mani ammanettate, estraeva la bottiglia, toglieva il tappo con i denti, quindi beveva tutto il contenuto rimettendo il vuoto. Con lo stesso sistema mandavamo i farmaci per tenerlo su, in maniera che nutrito e curato, trovasse forza per resistere e tacere. Così per molti giorni che sembrarono anni. Il detenuto quando veniva a prendere e riportare la bottiglia ci diceva: Sorelle noi moriremo tutti e quattro insieme! E per miracolo sfuggimmo a questa morte! Avevamo anche dei nostri agenti che favorivano i tedeschi! Intanto, nonostante le terribili battiture, Tonino rimaneva di sasso. Il giorno che fu accompagnato a vedere suo fratello Arturo, fucilato ed impiccato in Piazza Saffi, allorché gli intimarono di parlare per non fare la stessa fine, con fermezza dichiarò di non avere nulla da dire. A notte dello stesso giorno fu prelevato ed ucciso nei pressi di Coccolia. I nostri sacrifici non valsero a salvarlo!

Tra la lunga, interminabile, teoria d’infelici, ci furono accompagnati una sera una ventina di ebrei tra donne e ragazzi, rastrellati per le vie di Roma e diretti in Germania. Noi non avevamo più neppure posto e non sapevamo come sistemarli; in più erano tutti affamati.

Distendemmo della paglia nel piccolo atrio della maternità e demmo loro delle coperte. Il più brutto era il non avere niente per la loro fame! Mi ricordai che la mattina ci era stato recapitato un litro di latte senza sapere da chi e che non avevamo osato toccare perché ci sembrava impossibile fosse proprio per noi. Un litro di latte, a quell’epoca, era sbalorditivo! Dopo averlo bollito, lo avevamo messo in fresco, pensando che sarebbe saltato fuori il padrone. Ci venne l’idea di darlo ai bambini, poi ne subentrò subito un’altra che attuammo: Suor Elvira preparò un recipiente di surrogato, vi mischiò quel latte e lo servimmo col poco pane che avevamo; fu qui che vedemmo il miracolo! Pane e caffè latte bastarono per tutti, tutti si saziarono e si addormentarono. Al mattino, i tedeschi li ripresero tutti, e chissà mai quale sarà stata la loro sorte!

Sempre in quei terribili mesi, in cui vedemmo tanti fratelli anelare alla morte, furono incarcerati il generale Trionfi e la figlia, perché il marito di questa, capitano dell’esercito, era passato ai partigiani. La signora Trionfi aveva seguito a Forlì i suoi cari: marito e figlia, con la nipotina Patrizia, dopo che i tedeschi si erano impossessai di tutti i suoi beni, lasciandola praticamente in mezzo alla via. La Signora mi fece chiamare e in disparte mi confidò come sua figlia portasse indosso un cuscinetto con tutti i loro gioielli di grande valore. Mi supplicò di consegnarglieli essendo questi l’unico mezzo per sopravvivere.

Cercai farle capire il grave rischio che correvamo entrambe, rna poi, commossa dalla sua disperazione, promisi che l’avrei accontentata. Le fissai un appuntamento in Cattedrale, sull’imbrunire, presso una delle colonne dinanzi alla Madonna del Fuoco, e così feci, non senza una paura che mi drizzava i capelli. Mi portai alla colonna fingendo di osservare la cappella e intanto pregavo la Vergine S.S. che si prendesse cura di noi. Il cuore mi balzò appena vidi avvicinarsi la Signora, Ella finse chiedermi un’informazione. Con una mano le additai il quadro della Madonna e con l’altra feci passare nelle sue il prezioso pacchetto. Poi, come se nulla fosse stato, mi allontanai lasciandola in preghiera. Ritornai a casa contenta, ma non sicura. Infatti, alcuni giorni dopo, la sorella di Suor Valeriana ci fece sapere l’opportunità di fuggire, perché era stata avvertita da persona vicina ai comandi, che ci avrebbero fatte fuori. Dovevamo fuggire, ma dove? Forse che non ci avrebbero trovate e con pericolo per chi ci avesse accolte? Meglio restare al nostro posto ed attendere la nostra sorte. Per quanti anni ho poi durato a sognare di essere davanti al plotone di esecuzione!

Intanto gli eventi precipitavano, i tedeschi dovevano battere in ritirata, furono effettuate le ultime deportazioni anche di detenuti comuni. Quasi tutti partirono per la Germania dove sarebbero stati adibiti ai lavori di ricostruzione, tra questi vi fu anche il nostro coraggioso e fedele alleato che venne a salutarci dicendoci: L’abbiamo scampata, ma non ci rivedremo mai più su questa terra! Un’onda di commozione m’invase, quasi l’avrei abbracciato! Non molto tempo dopo sapemmo che era caduto dal camion che li trasportava al confine ed era morto; ci dettero per certo però che non fosse caduto, ma che volontariamente si fosse gettato per non andare in Germania. L’abbiamo sempre dinanzi agli occhi: alto, robusto, dai folti capelli fulvi, generoso e buono fino all’eroismo. Iddio lo abbia accolto nel suo amplesso dimenticando il gesto, dovuto ad un dolore che gli aveva accecata la ragione!

Ormai il carcere era vuoto, le ultime a lasciarci furono le tre inglesi, madre e due figlie, Roma di 18 anni, Vittoria di 8. Le prelevarono una sera, al tramonto, per accompagnarle ai confini ed avviarle verso la Scozia ove avrebbero riabbracciato il rispettivo marito e padre. Con esse abbiamo avuto corrispondenza fino a qualche anno fa.

La sera dell’11 novembre i tedeschi lasciarono Forlì dopo avere tagliato le condutture dell’acqua, del gas e quelle elettriche e dopo aver fatto saltare in aria il torrione, il campanile della cattedrale e la torre civica. Dovemmo abbandonare il carcere sotto lo scroscio delle granate, brancolando nel buio e portandoci dietro i letti. Riparammo come potemmo, Suor Valeriana a Ravaldino, Suor Elvira ed io a palazzo Prati ove le nostre consorelle avevano il rifugio. Al mattino ci fu intimato di rientrare in servizio sotto la minaccia di fucilazione per diserzione. Riprendemmo, quindi, la via del ritorno con le spalliere dei letti sul dorso ed il resto caricato su di un barroccino sempre sotto la pioggia delle granate e il crepitare delle mitraglie che inseguiva, dal cielo, le truppe in ritirata. Sembrava un’inferno, ed in mezzo a quell’inferno rimanemmo fino all’ingresso degli Inglesi. Ci sistemammo al piano terra perché le forze non ci permisero di risalire al nostro appartamento e fu la salvezza, poiché alcune mattine dopo un grosso calibro sfondava la nostra camera da letto formando nel mio posto un cumulo di macerie a forma di tomba. Giungemmo così a Natale che fu il Natale più reale della nostra vita.

Non avevamo neppure un cannello di carbone per fare un po’ di fuoco, quindi niente da poter mangiare di caldo, io ero a letto con la febbre. Il Natale di Betlemme, poiché come i pastori, vennero gli alleati, insediati nella sezione maschile, a portarci biscotti e the; a mezzogiorno le sorelle di Ravaldino ci mandarono cappelletti, brodo e pietanze, il pane ed il vino l’avevamo, né mai c’erano mancati prima, come mai c’era mancata la Divina Eucaristia a sostenerci. L’acqua l’attingevamo dal pozzo dell’orto. Non ci mancò neppure la frutta che ci offrirono gli Inglesi e nel pomeriggio il Capitano della Cicogna ci portò la cioccolata. Fu il Natale più suggestivo della mia vita!

Giunse infine l’ordine di sgomberare tutto il carcere, perché occorreva agli alleati. Che fare? Dove riparare? L’inverno era inclemente, l’Istituto Santarelli ancora sfollato troppo lontano per andare fin là con le masserie, per causa del ghiaccio che rendeva impraticabili le strade, nessuno voleva farci lo sgombero. Lugo era ancora sotto i tedeschi. Ci rivolgemmo alle nostre consorelle del Seminario, loro ci avrebbero anche accolte, ma il Rettore non ci volle. Quando Mons. Vescovo seppe la cosa, con slancio fraterno, ci offrì la sua casa e tanto ci supplicò che accettammo, non senza un po’ di soggezione. Avevamo lavorato e sofferto tanto insieme che nient’altro desiderò che averci presso di sé. Lui possedeva un sacco di patate, noi uno di fagioli ed uno di cipolle, così una sera mangiavamo gli uni e le altre a sere alterne, poi daccapo.

Intanto S.E. prendeva contatto con gli alleati, per loro mezzo istituì una cucina per i poveri che affidò alla nostra direzione. Cominciammo allora a beneficiare di quelle minestre, Lui no, non le toccava, perché diceva che noi ne avevamo il pieno diritto, essendo veramente povere, mentre Egli, secondo la sua delicata coscienza, non era nella stessa situazione.

Appena fu possibile trovare carne e latte a «borsa nera», non esitò ad acquistarne per tutti, alla sua tavola sedevano con noi, il Segretario, l’ortolano, il servitore e le due donne, tutta una famiglia, Lui era il Padre e ci serviva come Gesù i suoi apostoli. Quali esempi di carità cristiana e di fraterna bontà vennero ad arricchire la nostra vita! Egli è tuttora presente nei nostri cuori e la nostra gratitudine non verrà mai meno.

Agli inizi della primavera 1945 il comandante alleato ci richiese per l’identificazione dei fucilati. S.E. ci sconsigliò, perché disse che ne avremmo sofferto per tutta la vita, ma io avevo promesso alle povere ebree, che qualsiasi fosse stata la loro sorte, non le avrei abbandonate, per questo il Vescovo ci lasciò libere di fare come credevamo. Una mattina con una camionetta gli inglesi ci accompagnarono alle «Casermette», località in aperta campagna, ove era stata consumata la strage. I poveri corpi, dissepolti, giacevano decomposti l’uno accanto all’altro, tutti portavano i fori dei proiettili alle gambe ed alla testa, una delle quali era completamente staccata. Un fetore insopportabile ammorbava l’aria rendendola irrespirabile. Non tardammo molto a riconoscere le infelici e a rendere a ciascuna il proprio nome. Più difficile fu per la povera Marchesa Paolucci, la statura era la sua, ma il teschio sembrava quello di una bambina, l’abito irriconoscibile, erasi come incollato alle ossa. Suor Valeriana affermava essere lei, io invece ero molto indecisa, tutto sembrava rimanere sospeso allorché mi balenò alla mente il danaro nascosto nel vestito. Lo feci presente all’esumatore che frugando, dietro mia indicazione, estrasse le due carte vischiose, ma riconoscibili. Non c’era dunque più dubbio, era proprio lei! Chiudemmo così la nostra povera opera tra tutto lo squallore di una guerra assurda e di una inumana carneficina!

Rimanemmo presso il nostro Vescovo fino al giugno 1945, allorché il Ministero di Grazia e Giustizia ci richiamò in servizio e dopo che gli alleati avevano reso libero il carcere. Ci separammo dal nostro benefattore non senza una grande commozione, ma rimanemmo a lui legate da filiale affetto.

Riprendemmo, tra un mucchio di rovine, la nostra missione, ma quanto fu duro ricominciare di nuovo, senza nulla; per vetri mettemmo la carta che Mangelli ci donò, tutto era devastazione e lordume, poi pian piano, con l’aiuto di Dio, ricominciammo con le nuove detenute; questa volta erano le fasciste, i fascisti o i sospetti di esserlo stati a venire incarcerati, ed avemmo illustri professionisti, distinte personalità. Le donne ce le portavano rapate a zero, ma noi come avevamo accolti i primi perseguitati accogliemmo i secondi aiutando e confortando tutti, perché sotto diverse divise erano nostri fratelli.

A poco a poco la vita riprese il suo normale percorso, avemmo e tuttora abbiamo anime da sfamare e dissetare con le verità del Vangelo, donne e piccini da vestire e da alloggiare, inferme da curare nell’anima e nel corpo, ignoranti da istruire, peccatrici da illuminare, richiamare, innocenti o comunque afflitti da consolare e tanta paziente carità per sopportare talvolta anche i molesti.

Questa la vera, grande missione che da oltre trent’anni svolgiamo senza stanchezza e senza rimpianti, ma con sempre rinnovato fervore, sicure che donandoci cosi, ai più piccoli dei nostri fratelli, confortiamo e ripariamo Gesù che agonizza e muore per tutti i peccati dell’umanità. Amatissima Madre, termino, dopo cinque anni, questo lavoro che mi ha riaperto tante ferite. Domando perdono per le molte inesattezze e per l’imperizia della stesura.

Voglia benedire il mio sforzo e ricordare nelle sue preghiere tutti coloro di cui ho fatto menzione.

Forlì, 11-11-1970

Dev.me figlie in G.C.

Suor Pierina Silvetti
Suor Valeriana Collini
Suor Elvira Ghirardi

Le stragi del settembre 1944

Fucilati il 5 settembre

1944 Pellegrina Del Turco Rosselli in Paolucci De Calboli, nata a Firenze il 10 giugno 1891, residente a Forlì in via Largo De Calboli, 1. Collaboratrice di Tonino Spazzoli e di radio Zella fu arrestata il 2 agosto 1944.

Vincenzo Lega, nato a Faenza il 18 aprile 1915, residente a Faenza in via Renaccia 17, ragioniere. Partigiano dell’ORI, collaboratore di radio Zella, arrestato a Faenza il 7 agosto 1944.

Arthur Amsterdam, nato a Offenbach in Germania il 27 marzo 1922, figlio di Richter Sara Jalka, ultima residenza Pesaro, arrestato a Urbino perchè ebreo il 12 agosto 1944.

Israel Isidoro Amsterdam, nato a Cestochowa in Polonia il 19 aprile 1899, coniugato con Rosenbaum Lea, ultima residenza Pesaro, arrestato perchè ebreo e incarcerato a Forlì il 6 agosto 1944.

Bernhard Bruner, nato a Vienna in Austria il 18 luglio 1894, coniugato con Rosenbaum Elena, ultima residenza Milano, arrestato il 9 agosto 1944 a San Vittore di Cesena, perchè ebreo.

Israel Goldberg, nato a Wisniowiec in Polonia il 6 febbraio 1887, coniugato con Amgyfel Riwka Sara, ultima residenza Pesaro, arrestato a Forlì il 27 luglio 1944, perchè ebreo.

Gottesmann Georg, nato a Vienna in Austria il 29 gennaio 1899, ultima residenza Milano, arrestato a Urbino il 12 agosto 1944, perchè ebreo.

Alfred Lewin, nato a Berlino in Germania l’11 settembre 1911, figlio di Hammerschmidt Jenny Eugenia, ultima residenza Fermignano, arrestato a Forlì il 6 agosto 1944, perchè ebreo.

Joseph Loewsztein, nato a Varsavia in Polonia il 27 marzo 1915, ultima residenza Pesaro, arrestato a Urbino il 12 agosto 1944, perchè ebreo.

Karl Joseph Paecht, nato a Cernauti in Romania il 22 maggio 1888, coniugato con Rosenzweig Maria, ultima residenza Bologna, arrestato a S. Angelo in Vado il 12 agosto 1944, perchè ebreo.

Ludwig Stiassny, nato a Vienna in Austria nel 1887, arrestato ad Urbino il 12 agosto, perchè ebreo.

Joseph Tiemann, nato a Vienna in Austria il 28 aprile 1892, ultima residenza Pesaro, arrestato a Urbino il 12 agosto 1944, perchè ebreo.

Edoardo Cecere, nato a Firenze il 20 dicembre 1892, residente a Forlì in corso Diaz 21, colonnello dell’esercito, partigiano dell’8° brigata Garibaldi e collaboratore di radio Zella, arrestato a Villafranca di Forlì il 3 agosto.

Rosina Tacconi, nata a Riolo Bagni il 3 marzo 1890, coniugata con Angelino Mazzanti, residente a Riolo Bagni, madre di sei figli, arrestata nella sua casa di Riolo Bagni il 28 agosto, perchè madre di due partigiani. Il 2 luglio era stata arrestata anche la figlia diciottenne Marisa, tradotta nel carcere di via Salinatore il 27 agosto era stata inviata in campo di concentramento.

Rosa Tomasetti Piselli, nata a Sassofeltrio il 5luglio 1892, vedova di Vergari Nazzareno, residente a Urbania, casalinga, arrestata con le figlie perchè infermiera dei partigiani della zona di Urbania.

Maria Vergari, nata a Peglio il 15 settembre 1910, residente a Urbania, nubile, casalinga, arrestata nell’agosto 1944, collaborava con la madre e la sorella a nascondere e curare partigiani feriti nella zona di Urbania.

Palma Vergari, nata a Urbania il 14 gennaio 1915, residente a Urbania, nubile, casalinga, arrestata nell’agosto 1944, collaborava con la madre e la sorella a nascondere e curare partigiani feriti nella zona di Urbania

Pietro Alfezzi, nato a Predappio il 29 giugno 1904, residente a Forlì via Orto del Fuoco 8, coniugato con Ermenegilda Zozzi, operaio, partigiano dell’8° brigata partigiana, arrestato a Forlì nella prima decade di agosto 1944.

Francesco Arienzo, nato a Cassino il 20 aprile 1898, coniugato con Maria Pancotti, ingegnere, sfollato a Cagli di Pesaro e arrestato nell’agosto 1944, nel corso di un rastrellamento seguito ad un’azione partigiana.

Chino Bellagamba, impiegato comunale arrestato a Cesena il 9 agosto, procurò documenti a renitenti di leva e ebrei.

Fucilate il 17 settembre 1944

Sara Amgyfel Riwka, nata a Jaroslaw in Polonia il 29 luglio 1889, coniugata con Goldberg Israel, casalinga, madre di quattro figli, arrestata a Forlì il 27 luglio 1944,perchè ebrea.

Selma Sara Amsterdam, nata a Lodz in Polonia l’11 marzo 1903, figlia di Richter Sara Jalka, ultima residenza Fermignano, (Pesaro) casalinga, arrestata a Forlì il 6 agosto 1944, perchè ebrea.

Jenny Eugenia Hammerschmidt, nata a Schloppe in Germania l’11 gennaio 1881, madre di Alfred Lewin, ultima residenza Fermignano, casalinga, arrestata a Forlì il 6 agosto 1944, perchè ebrea.

Sara Jalka Richter, nata a Varsavia in Polonia il 5 luglio 1876 madre di Arthur Amsterdam e Selma Sara Amsterdam, ultima residenza Fermignano, casalinga, arrestata a Forlì il 6 agosto 1944, perchè ebrea.

Elena Rosenbaum, nata a Vienna in Austria il 21 febbraio 1894, coniugata con Bruner Bernhard, ultima residenza Milano, casalinga, arrestata a San Vittore di Cesena il 9 agosto 1944, perchè ebrea.

Lea Lisa Rosenbaum, nata a Savieccia in Polonia il 16 aprile 1906, residente a Fiume, ultima residenza Pesaro, casalinga, arrestata a Fermignano il 12 agosto 1944, perchè ebrea.

Maria Rosenzweig, nata a Preszmysl in Ungheria il 29 agosto 1897, coniugata con Paecht Karl Joseph, ultima residenza Bologna, modista, arrestata il 12 agosto 1944 a S. Angelo in Vado, perchè ebrea.

Fucilati il 27 settembre

Francesco Berretti, Catturato dai tedeschi il 20 settembre 1944 in Valcerreta nel corso di un rastrellamento seguito all’uccisione di due tedeschi da parte dei partigiani.

Ernesto Bulgarelli, nato a Bertinoro il 24 ottobre 1897, residente a Cesena, contadino, arrestato a Cesena il 10 agosto, perchè sospettato di attività a favore dei partigiani.

Francesco Faccani, nato a Bagnacavallo il 10 novembre 1914, residente a Lugo, colono, Catturato dai tedeschi il 20 settembre 1944 in Valcerreta nel corso di un rastrellamento seguito all’uccisione di due tedeschi da parte dei partigiani.

Adamo Giorgioni, nato a Galeata il 23 dicembre 1904, ivi residente, muratore, membro del CLN di Galeata in rappresentanza del partito repubblicano, fu arrestato dai fascisti e incarcerato nella Rocca di Civitella, nel settembre 1944 fu tradotto nel carcere di via Salinatore.

Sigfrido Giunchi, nato a Forlì il 31 marzo 1904, ivi residente, operaio, partigiano della 29° brigata Gap, arrestato a Forlì il 10 agosto 1944.

Giovanni Gurioli, Catturato dai tedeschi il 20 settembre 1944 in Valcerreta nel corso di un rastrellamento seguito all’uccisione di due tedeschi da parte dei partigiani.

Vincenzo Gurioli, Catturato dai tedeschi il 20 settembre 1944 in Valcerreta nel corso di un rastrellamento seguito all’uccisione di due tedeschi da parte dei partigiani.

Asa Joshua Kahn, nato a Little Neck (New York) l’8 aprile 1894, domiciliato a Ragusa, medico naturalista, trasferito dalle carceri di Pesaro dove era detenuto perchè ebreo a quelle di Forlì il 3 giugno 1944.

Giovanni Maretti, Catturato dai tedeschi il 20 settembre 1944 in Valcerreta nel corso di un rastrellamento seguito all’uccisione di due tedeschi da parte dei partigiani.

Gaddo Morpurgo, nato a Gorizia il 31 marzo 1920, ragioniere, arrestato a Urbino il 12 agosto 1944, perchè ebreo.

Alessandro Palli, Catturato dai tedeschi il 20 settembre 1944 in Valcerreta nel corso di un rastrellamento seguito all’uccisione di due tedeschi da parte dei partigiani.

Alfredo Petrucci, nato a Galeata il 31 maggio 1923, residente a Predappio Alta podere Porcia, arrestato nella sua abitazione di Porcia il 14 agosto perchè sospettato di attività a favore dei partigiani.

Alfredo Pirone, Catturato dai tedeschi il 20 settembre 1944 in Valcerreta nel corso di un rastrellamento seguito all’uccisione di due tedeschi da parte dei partigiani.

Enrico Ranieri, Catturato dai tedeschi il 20 settembre 1944 in Valcerreta nel corso di un rastrellamento seguito all’uccisione di due tedeschi da parte dei partigiani.

Una donna ignota. Il 4 giugno del 1944 gli alleati entrarono a Roma e le truppe tedesche abbandonarono la città. Ventitre degli oltre sessanta poliziotti costituenti il Sicherheitsdienst (sigla SD), di quella città, responsabile delle indicibili torture di via Tasso, delle persecuzioni ebraiche dell’ottobre 1943, dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, si trasferirono a Forlì e si insediarono nel palazzo dell’ex Brefotrofio in via Salinatore. Sulla porta d’entrata, affissero una tabella con scritto: Befehlshaber SD – SIPO – SS. Li comandava Karl Schutz (quello dell’oro di Roma) che a Roma era stato il vice di Herbert Kappler. I compiti assolti dall’Aussenkommando della Sicherheitsdienst (SD) di Forlì furono vari e complessi: dall’attività informativa all’infiltrazione, dai rastrellamenti antipartigiani alla rappresaglia, sino ad operare come plotone di eliminazione dando vita in loco ad una piccola soluzione finale. Per molti dei componenti il Sicherheitsdienst l’attività di soppressione dei nemici del nazismo, aveva preso avvio sin dai primi anni di guerra nei paesi dell’Est europeo, nei battaglioni delle Einsatzgruppe. I componenti dell’Aussenkommando di Forlì erano poliziotti della polizia criminale o della polizia politica, la famigerata Gestapo, che centralizzati insieme formavano la SiPo. Tutti appartenevano alle SS. I poliziotti che erano incorporati nelle SS entravano automaticamente a fare parte del SD. Lo storico tedesco Michael Wildt ha definito il Sicherheitsdienst: “servizio di informazioni, elite politica e unità di assassini”. Va sottolineato che senza la collaborazione della questura, della Guardia nazionale repubblicana, delle polizie, di gruppi e di singoli fascisti i numerosi arresti, le deportazioni eseguite dall’Aussenkommando della SD di Forlì non sarebbero stati possibili. Gli ebrei fucilati all’aeroporto furono arrestati dalla polizia italiana, dalla brigata nera e dalla Guardia nazionale repubblicana o dalle SS grazie ai fascicoli predisposti e meticolosamente aggiornati dagli organi di polizia preposti. Nell’agosto 1944, l’avv. Oreste Casaglia sul tavolo del poliziotto che lo interrogava nell’apposita stanza di via Salinatore, notò una pila di fascicoli di antifascisti provenienti dagli archivi della questura.

L’EPISODIO DEL 29 GIUGNO 1944. La notte del 26 giugno 1944 una squadra di partigiani appartenenti ai Gruppi di azione patriottica di Forlì allentò i bulloni dei binari della ferrovia e causò il deragliamento di un convoglio che trasportava le truppe della sezione di artiglieria Widfleken. Un militare rimase ucciso ed altri cinque feriti. Il 30 giugno un manifesto avvisava la popolazione delle province di Forlì e Ravenna che il giorno precedente, per rappresaglia al deragliamento di un treno nelle vicinanze di Forlì, erano stati “fucilati alla schiena” i “comunisti e partigiani” Agusani Nello, Babini Domenico, Benini Giulio, Buzzi Nello, Lolli Colombo, Mezzoli Francesco, Ravaglia Emilio, Ricci Costante, Taroni Francesco, Tascelli Giovanni. Tranne Giulio Benigni, erano stati arrestati dalle SS, il 22 giugno 1944, a Piangipane di Ravenna nel corso di un rastrellamento che sconvolse un’ampia area della provincia ravennate da Massa Lombarda a Mezzano a San Michele. Giulio Benigni, originario di Bari, era stato arrestato a Senigaglia il 6 giugno 1944. I corpi dei fucilati il 29 giugno 1944 furono recuperati solo il 17 settembre 1945. Le salme furono trasportate al cimitero di Piangipane tranne quella di Giulio Benigni che ancor oggi, secondo i documenti del cimitero, risulta presente come ignota nell’ossario nella cella 26 della fila A. Dal 22 aprile 2007 è trasferita nel nuovo monumento funebre.

EPISODI DEL 5 E 6 SETTEMBRE Nel tardo pomeriggio del 5 settembre 1944, SS della Sicherheitsdienst (polizia segreta di sicurezza) e militi della Gnr italiana prelevarono dal carcere di Forlì ventuno persone. L’Aussenkommando della Sicherheitsdienst (SD) di Forlì deteneva i prigionieri sia nel carcere della propria sede in via Salinatore 24, capace di circa cinquanta posti (non esistono registri o documenti) sia nel civile collocato nella Rocca (esistono i registri d’ingresso e d’uscita) dove aveva un ufficio con due uomini addetti agli interrogatori dei politici. Nove dei ventuno prelevati erano parenti di Tonino Spazzoli, noto antifascista di Forlì, arrestato il 6 agosto 1944, lungamente torturato e poi fucilato il 19 agosto 1944 dopo essere stato portato in piazza Saffi a vedere il fratello minore impiccato ad un lampione. I nove furono avviati ai campi di concentramento. Gli altri dodici erano dieci ebrei e due antifascisti. Tutti furono tradotti alla caserma Caterina Sforza in via Romanello luogo di concentramento e di visita medica di quanti dovevano essere deportati in Germania. Anche da via Salinatore otto prigionieri: quattro donne e quattro uomini, furono trasferiti nella vicina caserma di via Romanello. Queste traduzioni erano conseguenti con la decisione di Karl Schutz e di Hans Gassner specialista delle persecuzioni antiebraiche di mantenere segrete le eliminazioni e giustificare le sparizioni con la deportazione in Germania.

Verso le ore 20 i dieci ebrei Amsterdam Arthur, Amsterdam Isarael Isidoro, Bruner Bernhard, Goldberg Israel, Gottesmann Georg, Lewin Alfred, Loewsztein Joseph, Paecht Josef Karl, Stiassny Ludwig, Tiemann Josef e gli antifascisti Lega Vincenzo e Rosselli Del Turco Pellegrina, unitamente alle quattro donne Tacconi Rosina, Tomasetti Piselli Rosa con le figlie Vergari Palma e Maria e i quattro uomini prelevati dal carcere di via Salinatore Cecere Edoardo, Pietro Alfezzi, Francesco Arienzo, Chino Bellagamba furono caricati su diversi automezzi a sei posti, di fabbricazione italiana, che si diressero verso l’aeroporto. All’altezza delle “casermette” del Ronco occupate dalle truppe tedesche che le avevano ribattezzate caserma Adolf Hitler, alcuni degli automezzi svoltarono, gli altri proseguirono per l’aeroporto dove erano in attesa gli eliminatori. Le uccisioni non ebbero testimoni. Alle cinque del mattino successivo: sei settembre, dalle casermette furono prelevate le restanti vittime, condotte all’aeroporto e eliminate. Le venti vittime furono uccise suddivise in tre gruppi uno composto da dieci persone e due da cinque. Non sappiamo in quanti furono uccisi la sera e quanti il mattino. I primi ad essere disseppelliti il 26 novembre 1944 furono i corpi delle quattro donne e di un uomo. Furono esumati nel quadro dell’indagine che la 77 sezione del SIB stava svolgendo per accumulare prove dei crimini della polizia segreta SD nell’area forlivese. Le salme furono sepolte a cura del Comune nella fossa comune del cimitero di Forlì nel settore S. I corpi di Rosina Tacconi, di Rosa Tomasetti Piselli e delle figlie Maria e Palma Vergari furono riconosciuti e alla fine degli anni Quaranta trasferiti nei cimiteri dei paesi d’origine: Riolo Bagni e Urbania. Il corpo dell’uomo dal settore S tomba 41, nel 1964 fu trasferito nell’ossario alla cella 25 della fila A.

Tra il 15 e il 17 aprile furono esumati dall’aeroporto e collocati nella fossa comune del cimitero di Forlì: settore A, quindici corpi, tra questi fu riconosciuto quello del colonnello Edoardo Cecere. Oltre a Edoardo Cecere, ora seppellito nella tomba di famiglia del cimitero di Forlì, furono riconosciuti Vincenzo Lega (Cimitero di Faenza), Pellegrina Rosselli Del Turco (Cimitero di Ladino), Francesco Arienzo (Cimitero di Cagli di Pesaro), Joseph Karl Paecht (Cimitero di Sant’Angelo in Vado), Alfred Lewin seppellito col proprio nome prima nella fossa comune e poi nell’ossario, dal 1992 è sepolto nel monumento sepolcrale dedicato agli ebrei. I resti delle altre nove vittime nel 1964 furono collocati nell’ossario nelle celle da 1 a 7 della fila B e nelle 27 e 28 della fila A.

L’EPISODIO DELLE SETTE DONNE EBREE Alle ore 10 del 17 settembre 1944 due auto fiat a sei posti parcheggiarono davanti alle prigioni della Rocca. Dalle auto scesero alcune SS del Sicherheitsdienst che poco dopo ridiscesero portando con se sette donne ebree che presero posto nell’auto guidata da Karl Wiedner. Le SS presero posto nell’altra. L’intera compagnia si mosse poi verso la via Emilia in direzione del Ronco. Svoltarono per la strada che conduce all’aeroporto e dopo 150 – 200 metri girarono a sinistra verso il podere di Ricci che era stato raggiunto da diverse bombe sganciate da aerei inglesi nel corso del bombardamento del 22 giugno 1944. Qui erano in attesa i poliziotti Grueb, Bodestein e Pustofka. Le donne cominciarono a parlare in tedesco e una chiese alla scorta perchè dovevano essere fucilate, ma non seguì risposta. Per le sette donne ebree abbiamo i referti medici e la causa del decesso fu constatata dal dott. Aurelio Fusaroli medico legale del Comune di Forlì che eseguì l’esame necroscopico nel marzo 1945 quando i corpi furono esumati e riconosciuti da suor Pierina Silvetti. Richter Sara Salka morì strangolata, Amsterdam Selma Sara per un colpo sparato dalla nuca con fuoriuscita dalla fronte sopra l’occhio destro; Rosenbaum Lea Lisa per un colpo di pistola alla nuca, Amgyfel Riwka Sara fu uccisa con un colpo in mezzo alla fronte sparato a distanza ravvicinata; Maria Rosenzweig fu prima adagiata sul terreno e poi le fu sparato un colpo alla nuca; Rosenbaum Elena con due colpi nella nuca; Hammerrschmidt Jenny Eugenia da un colpo nella scapola, non esclusi altri colpi. Ogni vittima ricevette la morte in modo diverso. Ciascuna delle SS presenti uccise alla sua maniera una delle vittime a suggello di un qualche patto di solidarietà tra il gruppo di poliziotti. Un rito che non era inusuale nel contorto mondo psicologico degli specialisti della morte. Purtroppo una sorte uguale deve essere toccata a tutte le vittime dell’aeroporto. Si trattava di professionisti del crimine e dovevano andare orgogliosi della loro professionalità se sul finire della guerra la loro mano omicida poteva ormai essere riconosciuta dai giornalisti che si occupavano delle atrocità tedesche, come nel caso di Pustowka l’assassino di Sara Amgyfel Riwka all’aeroporto di Forlì che poi continuò la sua attività a Bologna e a Ferrara che in un articolo del “Corriere del Po” del 6 settembre 1945 viene indicato come autore di una strage nell’Appennino ferrarese …Da una buca di bomba nei pressi della Villa Turgi, dietro alle macerie della fabbrica Zeni, a 20 metri dalla strada, venivano alla luce quattro cadaveri ormai irriconoscibili, che erano ricoperti da 20 m circa di terreno. Lo stesso modo di occultare il misfatto e le stesse lesioni alla fronte (colpo di rivoltella) che hanno provoato la morte degli individui accusano la stessa mano omicida del maresciallo Pustowka. I corpi delle sette donne ebree furono riconosciuti da suor Pierina Silvetti che le aveva assistite durante la loro permanenza nel carcere di Forlì. Le salme dopo l’esumazione all’aeroporto l’8 marzo 1945 furono sepolte nella fossa comune nel settore Z. Per volontà del figlio Maria Rosenzweig fu sepolta accanto al marito Karl Josef Paecht nel cimitero di Sant’Angelo in Vado. I corpi delle altre sei donne nel 1964 furono tumulati nell’ossario in celle murate con lastre che recavano i loro nomi. Dal 1992 sono accolte nel monumento funerario che ricorda le vittime ebree dell’aeroporto.

L’ULTIMA STRAGE

Secondo la deposizione resa da Pohl Herbert un disertore dell’Aussenkommando della SD di Forlì al SIB (Special Investigation Branch, Sezione Investigazioni Speciali) il 24 settembre 1944, il giorno prima di lasciare Forlì, il comandante dell’Aussenkommando delle SD, Schuetz convocò i suoi sottoposti dicendo loro che “si dovevano liberare degli ostaggi italiani” presenti nelle celle della loro sede. La sera ci fu una festa al quartier generale e dopo alcune bevute Grueb confidò a Pohl Herbert che tutti i prigionieri sarebbero stati liquidati. Capii che questo significava che essi sarebbero stati uccisi. C’erano ancora circa dieci prigionieri in quel momento nelle celle del QG. La memoria di Herbert arrotonda a dieci una presenza che doveva essere di sette unità alle quali si aggiunsero proprio il 24 settembre otto rastrellati in Valcerra che portarono a quindici il numero complessivo dei prigionieri. Si trovavano nel carcere sicuramente l’ebreo Gaddo Morpurgo tradotto dal carcere civile di Forlì il 7 settembre, Giorgioni Adamo antifascista, componente del Cln di Galeata, arrestato dai fascisti locali e trasferito dal carcere di Civitella; Khan Asa ebreo, prelevato dal carcere mandamentale il 20 settembre, Ernesto Bulgarelli arrestato il 10 agosto anch’egli prelevato dal carcere mandamentale il 22 settembre, Alfredo Petrucci arrestato a Porcia il 14 agosto 1944, Giunchi Sigfrido partigiano arrestato il 10 agosto 1944, una donna tuttora ignota. A loro il 23 settembre si aggiunsero gli otto rastrellati in Valcerreta: Giovanni Maretti di Valbona, Enrico Ranieri di Pompignola, Giovanni Gurioli di Vallicella Vecchia, Vincenzo Gurioli, Alessandro Palli del Casetto di Trerè, Francesco Berretti di Campigno di Marradi, Alfredo Pirone originario di Montefusco (AV), Franceso Faccani di Lugo Erano stati catturati il 20 settembre 1944 nel corso di un rastrellamento della Wehrmacht e di reparti delle SS seguito alla uccisione di due militari tedeschi da parte dei partigiani sotto il monte Terminone. Per due giorni erano stati imprigionati assieme a numerosi uomini e donne nella villa Ferrante in località Abeto e il 23 settembre furono selezionati e trasferiti nel carcere di via Salinatore. I preparativi della loro eliminazione sono raccontati da Pohl Herbert nelle dichiarazioni rese il 30 ottobre 1944: la mattina del 25 (più probabilmente del 27 settembre) ero al QG e vidi alcuni dei nostri veicoli fermi fuori. C’era il consueto gruppo delle fucilazioni, inclusi Grueb, Bodenstein, Wesemann…. Essi avevano armi automatiche Breda e anche picconi e pale. Non mi fu detto niente di ciò che era accaduto, ma da quello che vidi e da ciò che Grueb aveva detto la notte precedente, conclusi che tutti i nostri prigionieri erano stati uccisi Più tardi si recò nelle celle e le trovò tutte vuote. Sempre Herbert ci informa dell’identità del gruppo degli eliminatori che furono Grueb, Wesemann, Wiedner, Bodestein, Gassner, Sueptlitz e Pustofka. Furono uccisi divisi in due gruppi di dieci e cinque vittime. Anche per queste vittime non abbiamo documenti o perizie che ci consentano di dire come furono uccisi. Il 12 aprile da una buca d’aereo venivano esumati dieci corpi, uno era identificato per Francesco Faccani uno dei rastrellati della Valcerreta. Tra i fucilati di questo gruppo nel 1956 i genitori riconobbero i resti di Alfredo Petrucci. Il giorno successivo furono disseppelliti altri cinque corpi, nessuno venne riconosciuto. I loro corpi furono sepolti nel settore A della fossa comune. Nel 1964 furono spostati nell’ossario nelle celle da 8 a 21 della fila B. Sin dal novembre 1944 la strage dell’aeroporto fu oggetto di indagine della 77° Sezione del SIB inglese (Special Investigation Branch, Sezione Investigazioni Speciali) che operò in Italia dall’estate del 1944 per raccogliere le prove dei crimini commessi dalle SS tedesche contro i partigiani e la popolazione civile. Il SIB grazie alla collaborazione di un disertore, Pohl Herbert, identificò i componenti il distaccamento della SD di Forlì responsabile delle uccisioni e formò un fascicolo per la loro messa in stato d’accusa. Il fascicolo, come tanti altri, in conseguenza di decisioni di convenienza politica interna e internazionale non ebbe il suo corso, fu insabbiato e nel 1960 provvisoriamente archiviato e collocato in un armadio del Tribunale militare di Palazzo Cesi a Roma. Non è questa la sede per ripercorrere i molteplici motivi di “opportunità politica” interna e di schieramento internazionale che indussero il governo italiano a non utilizzare le possibilità di procedere contro ufficiali e militari tedeschi macchiatisi di crimini di guerra. Rileviamo che se negli anni immediatamente successivi la Liberazione si fosse svolto un processo, si sarebbe proceduto ad una attenta ricostruzione dell’eccidio, della identità delle vittime, della modalità delle esecuzioni. Nessuno invece indagò e per 12 delle 42 vittime dell’aeroporto, sino a poco tempo fa non si sapeva neppure l’identità. Il mancato accertamento della verità ha comportato l’oblio della strage dell’aeroporto per un lungo periodo dovuto alla difficoltà di comprensione di quanto era accaduto per la complessità e la diversità di questa strage rispetto alle altre consumatesi nel territorio provinciale, e certamente anche per lo scarso coinvolgimento in essa di forlivesi. I fascicoli sono stati ritrovati nell’estate del 1994 dal dott. Antonio Intelisano incaricato di una indagine per l’estradizione di Priebke. Tra il il 1994 e il 1996 sono stati trasmessi alle procure militari di competenza che hanno aperto indagini sui reati iscritti nei fascicoli. Per l’Emilia Romagna la competenza è della Procura di La Spezia che ha ricevuto il fascicolo relativo all’aeroporto nel 1996. In anni di indagini ha accertato che nessuno degli imputati era più in vita e il 14 maggio 2003 il fascicolo è stato archiviato “per estinzione del reato per morte del reo”.

Predappio e la sua liberazione [2014]

Le iniziative per il 70° anniversario della liberazione di Predappio
dal 28 ottobre al 7 dicembre 2014

I materiali:
Pieghevole Liberazione Predappio // Manifesto e locandina Liberazione Predappio

Il programma:


28 ottobre 2014
-Mattina: Inaugurazione mostra dal titolo: “La guerra arriva a Predappio – 28 ottobre,
la liberazione” a cura di Palmiro Capacci, presso la sede municipale

-Ore 10.00 Visita dei ragazzi delle classi terze della Scuola Secondaria di Primo grado P.V. Marone, e testimonianza di Sergio Giammarchi (ex partigiano del Battaglione Corbari)

-Sera al Teatro Comunale
Ore 20,00 Celebrazione del 70° anniversario della Liberazione di Predappio e del territorio forlivese – Unione di Comuni della Romagna forlivese.
Lectio magistralis: Marcello Flores (Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia)
Saluti del Presidente dell’A.N.P.I di Forlì-Cesena Carlo Sarpieri
Intervento del Presidente dell’Unione di Comuni della Romagna Forlivese Davide Drei
Intervento del Sindaco di Predappio Giorgio Frassineti
Ore 21.30 Concerto dei Khorakhanè con la partecipazione straordinaria di Ivano Marescotti


1° novembre 2014
-Dalle 9.30 alle ore 13.30 in Sala Europa
Convegno: “L’uomo nuovo, il totalitarismo, lo stato” (iniziativa nell’ambito di 900 Fest)
Con la partecipazione di: Francesco Cassata (Univ. di Genova), Giovanni Gozzini (Univ. di Siena),
Marcello Flores (Univ. di Siena)
Seguirà buffet

-Dalle 15.00 alle 16.30
Visita guidata al Museo Urbano, relatore Prof. Giorgio Frassineti, Sindaco del Comune di Predappio


13 novembre 2014
Ore 21.00 Sala Europa
Presentazione del documentario:
“Wolny – Il secondo corpo d’armata polacco nella Liberazione d’Italia”
Presentano: Alessandro Quadretti (Regista), Enzo Casadio e Maurizio Nowak


22 novembre 2014
-Ore 17.00 Sala del Consiglio – Palazzo Varano
Presentazione del libro: “La foja dl’albaraz – Predappio: cronache di una comunità viva e solidale”
di Palmiro Capacci e Rolando Pasini con la collaborazione di Virna Giunchi


29 novembre 2014
-Ore 17.00 Sala del Consiglio – Palazzo Varano
Presentazione del libro: “Domenico Ciro Farneti – 1881 – 1925” di Fulvio Farneti
Presentano: Thomas Casadei (Un. di Modena e Reggio Emilia) e Gabriele Zelli Sindaco di Dovadola


7 dicembre 2014
-Ore 9.30 Teatro Comunale
Presentazione del Progetto CICLoPE, a seguire visita guidata alle Gallerie Caproni, evento promosso nell’ambito delle iniziative della rotta culturale europea ATRIUM

Le iniziative istituzionali [2014]

Le iniziative istituzionali del festival:


28 ottobre, Forlì, ore 16.30, ATRIO DEL SALONE COMUNALE DI FORLÌ (vai alla mappa)
Inaugurazione mostra “Forlì 1944, una strage ‘comune’”


 cippoSaranno presenti le autorità cittadine.

La mostra, realizzata in collaborazione dalla Fondazione Alfred Lewin e dall’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, ha una carattere documentale ed è finalizzata a far conoscere un evento che per molti anni è stato rimosso dalla memoria della città, ma al quale poi è stata riconosciuta la grande importanza che riveste.

La mostra resterà visitabile in tutti gli orari di apertura del comune dal 28 ottobre al 9 novembre 2014, giorno della liberazione della città di Forlì.


28 ottobre, Predappio, ore 20.00, TEATRO COMUNALE DI PREDAPPIO (vai alla mappa)
Celebrazione del 70° anniversariio della Liberazione del territorio forlivese.


13224661573_1acfddd411_oIl 28 ottobre del 1944 Predappio fu liberata dalle truppe alleate e nei giorni precedenti e seguenti molti altri comuni del territorio videro la libertà dopo il terribile anno dell’occupazione tedesca. In questa occasione è prevista un’iniziativa nella quale attorno al consiglio comunale di Predappio si raccoglieranno i sindaci dei diversi comuni del territorio forlivese, oltre ad i rappresentanti delle organizzazioni democratiche e antifasciste.

L’orazione ufficiale sarà tenuta da Marcello Flores, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale di Storia del Movimento di Liberazione e di 900fest, Festival europeo di storia del 900.

Ore 20.00
Interverranno:
Giorgio Frassineti, Sindaco di Predappio
Davide Drei, Sindaco di Forlì e Presidente dell’Unione dei Comuni della Romagna forlivese
Carlo Sarpieri, Presidente dell’ANPI di Forlì-Cesena
Marcello Flores, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale di Storia del Movimento di Liberazione e di 900fest, Festival europeo di storia del 900.

Ore 21.30
Concerto dei Khorakhanè, con la partecipazione straordinaria di Ivano Marescotti

L’iniziativa nel volantino del Comune di Predappio


30 ottobre, ore 10.00 PALAZZO ROMAGNOLI (vai alla mappa)
Presentazione del progetto di valorizzazione dell’ex “Casa del Fascio e dell’Ospitalità” di Predappio


 casadelfascioL’iniziativa è finalizzata a portare a conoscenza delle istituzioni e del pubblico il progetto culturale che prospetta la realizzazione nella Casa del Fascio di Predappio di un grande centro culturale di rilevanza europea, con un centro di studi e ricerche sul 900 ed un grande museo storico dedicato agli anni della dittatura fascista.

Interverranno:
Giorgio Frassineti (sindaco di Predappio)
Massimo Mezzetti (Assessore alla Cultura della Regione Emilia Romagna)
Carlo Giunchi (progettista culturale)
Marcello Flores (Università di Siena)
Andrea Milani (architetto)


Venerdì 31 ottobre, 15.00 – Centro di Forlì (vai alla mappa)


Visita guidata alla città razionalista in collaborazione con ATRIUM, associazione della Rotta Culturale Europea sulle Architetture dei Regimi Totalitari.

L’appuntamento è alle ore 15.00 davanti alla Stazione Ferroviaria di Forlì (angolo tra via Colombo e viale della Libertà – vai alla mappa). La visita avrà la durata di circa 1 ora e 30 minuti. E’ gradita la prenotazione inviando una mail all’indirizzo info@alfredlewin.org o telefonando al 0543.21422.

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Sabato 1° novembre, 15.00 – Centro di Predappio (vai alla mappa)


Visita Guidata al “Museo Urbano”. In collaborazione con ATRIUM e col Comune di Predappio. La visita sarà condotta dal Sindaco prof. Giorgio Frassineti.

L’appuntamento è alle ore 15.00 davanti al Comune di Predappio (vai alla mappa). La visita avrà la durata di circa 1 ora e 30 minuti. E’ gradita la prenotazione inviando una mail all’indirizzo info@alfredlewin.org o telefonando al 0543.21422.

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Altro da vedere a Forlì [2014]

In questo periodo a Forlì segnaliamo queste due mostre:


EUROVISIONI. Tito Pasqui, un forlivese alle grandi esposizioni (1873-1906)
Dall’11 ottobre 2014 – 6 gennaio 2015

MOSTRA

Musei San Domenico (vai alla mappa)


Da Forlì Cultura:Schermata 2014-10-14 alle 10.39.26 Tito Pasqui, un forlivese alle grandi esposizioni (1873-1906)” che racconta, per immagini e documenti, la vicenda di un tecnico “di periferia” alla scoperta del progresso. L’origine, all’indomani del Risorgimento, è nella terra: innovazioni agrarie, concimi, macchine. Poi, via via che l’Europa mette in mostra la sua tecnologia di punta, Pasqui viene attratto dai trasporti, dalle infrastrutture, dalla chimica: i grandi settori dischiusi dallo sviluppo nella seconda rivoluzione industriale.

Orario: dal martedì al venerdì ore 9,30-13,00 / 15,00 – 17,30
 sabato e domenica ore 10,00 – 18,00

 Ingresso libero

. Per informazioni: 
Musei San Domenico Tel. 0543.712659 
musei@comune.forli.fc.it


COLLEZIONE VERZOCCHI

ESPOSIZIONE PERMANENTE nella nuova sede museale di Palazzo Romagnoli (vai alla mappa)


Schermata 2014-10-14 alle 10.36.41Da Forlì Cultura: “Se la collezione riflette il ritratto del collezionista, nella Verzocchi i rimandi speculari tra le opere degli artisti e l’opera del collezionista, tra l’insieme e il suo artefice, sono talmente stretti da definire la collezione stessa. Il progetto del collezionista preordina la collezione secondo un piano di lettura che ne restituisce l’identità, la specificità. Giuseppe Verzocchi, imprenditore operante nel settore dei materiali refrattari, progetta e realizza con straordinaria intelligenza una raccolta di opere che mette in relazione l’azienda, “Refrattari Verzocchi”, con il mondo dell’arte. Nel 1949 Verzocchi contatta settantadue artisti della prima e della seconda generazione del Novecento, a cui commissiona un dipinto, ponendo, contestualmente, condizioni e coordinate: il tema, il lavoro; il formato, cm. 70 x 90; infine l’inserimento nel dipinto dell’immagine di un mattone refrattario con l’iscrizione “V & D”, sigla dei soci dell’azienda, Giuseppe Verzocchi e Ottavio Vittorio De Romano”.

Orario: da martedì a venerdì ore 9,00-13,00, martedì pomeriggio dalle 15,00 alle 17,30 sabato e domenica ore 9,00 -13,30. Per informazioni: Via C. Albicini, 12 Telefono: 0543 712627 – 0543 712609 – 712602 Fax 0543 712618 E-mail: musei@comune.forli.fc.it